Con l’art. 23 del D.Lgs. 151 del 2015, meglio noto come “Jobs Act”, il legislatore ha modificato l’art. 4 della L. 300 del 1970 (il c.d. Statuto dei lavoratori), rubricato “impianti audiovisivi ed altri strumenti di controllo”, cercando di bilanciare le esigenze del mondo del lavoro da un lato, e quelle di riservatezza dei prestatori dall’altro. Il risultato del predetto bilanciamento è un testo che, a soli tre mesi dalla sua entrata in vigore, ha suscitato ampi dibattiti e numerosi interrogativi.
Analizzando l’attuale normativa è possibile infatti notare come la formulazione del primo comma del citato articolo 4 riproduca nei contenuti la previgente disposizione: il datore di lavoro, qualora intenda perseguire finalità produttive, organizzative, di sicurezza o di tutela del patrimonio aziendale, è legittimato all’utilizzo di impianti audiovisivi o “strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”. Tuttavia il suddetto controllo è subordinato non solo agli scopi citati ma è altresì vincolato agli accordi con le rappresentanze sindacali aziendali (r.s.a.), che peraltro variano a seconda delle dimensioni e della capillarità territoriale dell’impresa, o in alternativa all’autorizzazione da parte della Direzione territoriale del lavoro.
Il primo comma, quindi, sembrerebbe riprodurre la previgente disciplina, con la sola previsione di un più ampio novero di interlocutori con i quali il datore di lavoro può rapportarsi nell’ipotesi degli accordi con le r.s.a. o dell’autorizzazione ministeriale.
Le disposizioni, invece, che sono state recentemente introdotte dal legislatore e che più di tutte hanno suscitato problematiche interpretative e dubbi applicativi sono sicuramente i commi secondo e terzo del citato art. 4. Il secondo comma, infatti, prevede che gli adempimenti prescritti dal primo comma non trovino applicazione per gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e per gli “strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”. Risulta quindi chiaro come tale disposizione appaia in netto contrasto con l’originario e rigido divieto di controllo a distanza dei lavoratori.
Tuttavia, a ben vedere, il terzo comma dell’art. 4 introduce un correttivo a tale adempimento, in virtù del quale i dati raccolti attraverso il monitoraggio dell’attività di lavoro possono essere utilizzati dal datore di lavoro a condizione che ne dia puntuale informazione ai prestatori. Inoltre, il trattamento deve essere conforme ai principi stabiliti dal D.Lgs. 196 del 2003, meglio noto come Codice privacy: pertanto, anche qualora il datore di lavoro/Titolare (ovvero il soggetto che secondo la disciplina in materia di protezione dei dati personali delibera in ordine alle finalità ed alle modalità del trattamento delle informazioni) decida di installare apparecchiature di controllo, sarà comunque sottoposto ad uno stringente onere informativo ed al rispetto dei principi sanciti dal predetto Codice.
Quest’ultimo aspetto ha acquisito una sempre maggiore rilevanza per quanto attiene il profilo dei controlli a distanza, atteso l’espresso richiamo che il novellato art. 4 dello Statuto dei lavoratori opera a favore dell’intera disciplina privacy: è pertanto imprescindibile conoscerla e conformarsi alle sue disposizioni anche in un settore come quello lavorativo, per il quale il “Jobs Act” le ha conferito un rilievo ancor più incisivo rispetto al passato.