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contrattoNon costituisce una clausola vessatoria quella condizione che, nei contratti di assicurazione della responsabilità civile, subordina la validità e l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza per la quale sia il fatto illecito che la richiesta di risarcimento si manifestino entro il periodo di efficacia del contratto o comunque entro un lasso temporale convenuto dalle parti. Questa la recente statuizione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 9140, depositata il 6 maggio 2016), interpellate al fine di stabilire la vessatorietào meno delle clausole “claims made” nei contratti di assicurazione.

La complessa ed articolata pronuncia del Supremo Collegio ha posto in evidenza come, nonostante la molteplicità di tipologie di clausole inserite nella prassi commerciale in tali negozi, le stesse possano ricondursi a due essenziali categorie: le clausole c.d. “miste” o “impure”, che prevedono la validità della copertura assicurativa esclusivamente allorquando il fatto illecito ed altresì la richiesta risarcitoria intervengano nel periodi di efficacia del contratto, con retrodatazione della garanzia a quelle condotte solitamente poste in essere due o tre anni prima della stipula negoziale;le clausole c.d. “pure”, operanti per tutte le richieste pervenute all’assicurato e da quest’ultimo inoltrate all’assicuratore durante il periodo di validità della polizza, a prescindere dalla data del fatto illecito.

Il caso di specie verteva sull’ammissibilità delle prime, confermata dalla Corte sulla base dell’assunto per cui andrebbe considerata un elemento atipico inserito in un contratto tipico (ovvero quello previsto dall’art. 1197 c.c.): si sostanzierebbe quindi in una libera e lecita pattuizione tra le parti che non inficerebbe i diritti delle stesse. I Giudici hanno altresì escluso l’integrazione di una decadenza convenzionale o la violazione dei canoni ermeneutici di correttezza e buona fede.

Sul punto la Cassazione ha ricordato la vexata quaestio dell’assicurabilità, da molti criticata, di fatti generatori di danno verificatesi prima della conclusione del contratto, attesa la presunta assenza dell’elemento di aleatorietà previsto, a pena di nullità, dall’art. 1895 c.c.: il rischio dell’aggressione del patrimonio dell’assicurato, infatti, si concretizza in una fattispecie a formazione progressiva, che non si esaurisce nella condotta materiale dell’assicurato, ma necessita della manifestazione del danneggiato volta ad ottenere il risarcimento del danno sofferto. Di conseguenza, la clausola claims made con garanzia pregressa è lecita in quanto resta impregiudicata l’alea dell’avveramento progressivo della fattispecie.

Nel passaggi conclusivi della pronuncia, la Suprema Corte sottolinea però due aspetti rilevanti: il primo concerne l’applicabilità a tali contratti della disciplina dettata dal d.lgs. 206/2005, in relazione al quale la liceità di queste clausole dovrà essere esaminata e confrontata con il principio cardine del “significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”, sorretto dalla nullità di protezione di cui all’art. 36 del citato Decreto. Anche se l’applicabilità della summenzionata disciplina esclude dal novero di beneficiari i professionisti (e dunque i contratti di assicurazione da questi stipulati), non vi è dubbio, secondo la Corte, che il contraente non predisponente, anche se qualificabile alla stregua di un “professionista”, sia in realtà privo di quelle informazioni idonee a comprendere le conseguenze giuridiche derivanti dalla sottoscrizione di siffatte clausole contrattuali.

Il secondo profilo emerso dall’esegesi giuridica della Corte, è relativo alla compatibilità delle clausole claims madecon l’introduzione, in alcuni settori professionali, dell’obbligo di assicurare la responsabilità civile connessa all’esercizio della propria attività: ciò in considerazione del fatto che alla previsione di un obbligo siffatto non è stato accompagnato un onere di stipula per le compagnie assicuratrici. Questo aspetto, a giudizio della Cassazione, è ancor più evidente in relazione ai rapporti tra assicurato e terzo “essendo stato quel dovere previsto nel preminente interesse del danneggiato, esposto al pericolo che gli effetti della colpevole e dannosa attività della controparte restino, per incapienza del patrimonio della stessa, definitivamente a suo carico”. Di tale aspetto, sottolinea la Corte, dovrà tenersi conto nella stipula delle Convenzioni collettive negoziate dai Consigli nazionali e dagli Enti previdenziali dei professionisti, nonché, per gli esercenti le professioni sanitarie, del Decreto presidenziale destinato a stabilire le procedure ed i requisiti per l’idoneità dei predetti contratti di assicurazione.