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sitoweb portatileLa vicenda in esame trae origine dalla pubblicazione su un sito web di commenti offensivi verso terzi ad opera di un utente, assolto per il reato di diffamazione in primo grado e condannato invece in appello. La Corte di Cassazione, adita in merito alla legittimità di quest’ultima pronuncia, ha confermato la sentenza di secondo grado, soffermandosi in particolare sulla possibilità di ritenere responsabile, per i reati commessi dagli utenti, il gestore del sito web (Cass. Sez. V penale, sentenza 54946/2016).

I giudici di legittimità, nel caso di specie, hanno sottolineato come l’autore dell’illecito avesse non solo pronunciato epiteti diffamatori nei riguardi della persona offesa, ma avesse altresì corroborato la fondatezza delle sue affermazioni inviando, via e mail, al gestore del sito web il certificato penale del diffamato stesso.

Proprio da questo particolare, secondo la Corte, si evince come il destinatario della comunicazione fosse assolutamente a conoscenza della commissione dell’illecito: l’imputato non poteva non sapere e con la sua condotta ha altresì agevolato l’“efficacia diffamatoria”, che non è stata neppure contestata dall’imputato, né nel giudizio di primo grado, né tantomeno in quello di appello.

Secondo i giudici, inoltre, rappresentano mere petizioni di principio, del tutto generiche, anche le circostanze dedotte dall’imputato, in virtù delle quali, al momento dell’accaduto, lo stesso non avrebbe avuto accesso alla casella di posta elettronica: i predetti rilievi infatti non sono stati corroborati da elementi probatori in grado dimostrare la veridicità dell’assunto.